Terapie ortodontiche effettuate su pazienti parodontopatici, nell’ambito di riabilitazioni occlusali o di terapie elettive e localizzate, finalizzate a migliorare situazioni parodontali specifiche a carico di singoli elementi dentali, devono prevedere un’integrazione con la terapia parodontale dalla fase diagnostica alla stabilizzazione dei risultati ottenuti.

Le richieste più frequenti riguardano trattamenti ortodontici in soggetti con denti particolarmente compromessi o terapie mirate a risolvere problemi condivisi ed in particolare riallineamenti e riposizionamenti in chiave parodontale (es. correzione di inclinazioni assiali, apertura e chiusura spazi, estrusioni ed intrusioni, stabilizzazione di elementi dentari parodontalmente compromessi, etc).

La perdita di supporto parodontale può comportare migrazioni di elementi dentali soprattutto in presenza di parafunzioni, così come la perdita e/o l’estrazione di elementi dentari può favorire la migrazione di denti contigui alle zone edentule che si manifesta clinicamente con la comparsa di diastemi, proinclinazioni, estrusioni, rotazioni, inclinazioni, etc. Tali quadri clinici, oltre a provocare un evidente danno estetico, possono rendere problematica l’igiene del paziente, contribuendo all’aggravamento dei processi flogistici a carico del parodonto. Inoltre, possono rappresentare un ostacolo alle procedure di riabilitazione necessarie per il ripristino di una piacevole estetica e di una buona funzione.

Un approfondito esame clinico ed eventuali indagini strumentali sono finalizzati a valutare le condizioni iniziali del paziente, sia relativamente a problematiche ortodontiche di carattere generale che alle condizioni parodontali al termine della terapia. Nel caso in cui la terapia risulti mirata alla risoluzione di un problema specifico, la scelta degli esami strumentali più opportuni deve essere stabilita dal clinico, sebbene è buona norma prescrivere radiografie endorali delle aree da trattare. Nei casi complessi di riabilitazione può essere indicato ricorrere all’analisi dei modelli in gesso, ad un’adeguata valutazione tramite radiografie endorali e ad eventuale teleradiografia del cranio in proiezione latero-laterale.

Ulteriori esami strumentali possono essere prescritti a discrezione del clinico in base al tipo di problematica oggettivata. L’esame delle fotografie extra ed intra-orali può essere utile in fase diagnostica e per rilevare, a termine trattamento, gli effetti terapeutici.

Si rivela di fondamentale importanza una valutazione complessiva ortodontica e parodontale, al fine di programmare il timing dei diversi interventi terapeutici ed i vari steps.

L’inizio della terapia ortodontica è condizionato dalla completa risoluzione della flogosi a carico dei tessuti parodontali e la sua prosecuzione necessita di un attento monitoraggio dell’igiene orale del paziente per l’intera durata del trattamento.

Devono essere valutate con attenzione zone di accumulo di placca ed evitati traumi occlusali legati agli spostamenti dei denti o a contatti prematuri, in quanto potrebbero essere responsabili di un aggravamento della patologia parodontale. A tale scopo sono consigliate apparecchiature poco ingombranti, facili da pulire ed in grado di esercitare forze leggere e ben controllate.

Al paziente vanno consigliate sedute di igiene professionale periodiche, la cui cadenza temporale è legata anche alla capacità individuale di mantenere un buon livello di igiene orale. Secondo alcuni Autori, l’incapacità da parte del paziente di mantenere una corretta igiene orale sarebbe una ragione valida per interrompere la terapia.

Una volta perseguiti gli obiettivi stabiliti, in presenza di problemi parodontali severi, soprattutto se associati a migrazioni dentali, si potrà ricorrere a procedure di contenzione permanente, ricorrendo eventualmente a retainer applicati con resina sugli elementi interessati dal trattamento, qualora il clinico lo ritenga necessario.

Il trattamento ortodontico in pazienti con tessuti parodontali ridotti, ma sani, può essere intrapreso senza peggiorare la situazione parodontale iniziale, qualora i movimenti siano effettuati dopo un’attenta diagnosi ed eseguendo un corretto protocollo.

Nei casi in cui la terapia sia effettuata in maniera adeguata, non si evidenzierà una significativa perdita di attacco, anzi, in alcuni casi, la terapia ortodontica si dimostrerà in grado di migliorare la situazione parodontale, soprattutto quando integrata con trattamenti parodontali specifici. Buoni risultati sono legati alle procedure impiegate ed, in particolare, all’utilizzo di forze leggere, al mantenimento di un’adeguata igiene orale, al controllo della flogosi ed all’eliminazione di eventuali interferenze funzionali.

Al contrario, in soggetti con parodontopatia attiva ed in presenza di trauma occlusale, il movimento ortodontico può accelerare i processi distruttivi a carico del parodonto, anche quando il paziente è in grado di mantenere una buona igiene orale.

Si tratta, comunque, sempre di trattamenti complessi il cui esito è legato a fattori di carattere individuale, che possono rappresentare un limite per il clinico nella scelta della biomeccanica (sistemi di forze, possibilità di ancoraggio), nella valutazione del rischio parodontale (topografia dell’osso alveolare), per quanto concerne l’evoluzione e la prognosi della parodontopatia, fino all’incapacità del paziente di mantenere una corretta igiene orale.

Risulta, quindi, necessario che il paziente sia informato e consapevole di tali rischi prima dell’inizio della terapia e sia in grado di assicurare una completa collaborazione.

Trattamenti interdisciplinari ortodontico-parodontali, sebbene più frequenti in età adulta, possono comunque rivelarsi necessari anche in soggetti in fase di crescita, soprattutto in presenza di tessuti parodontali sottili o su elementi sottoposti a traumatismo (es. errate tecniche di spazzolamento, inversione dei rapporti vestibolo-linguali specie a carico dei denti frontali, etc.).

In tali situazioni il clinico, oltre a seguire le procedure diagnostico-terapeutiche dei trattamenti convenzionali, dovrà anche attuare una mirata strategia per non aggravare e, se possibile, migliorare la situazione parodontale preesistente.

Raccomandazioni:

Preliminarmente all’applicazione di apparecchiature ortodontiche fisse risulta opportuno trattare processi flogistici a carico dei tessuti parodontali e procedere ad un attento monitoraggio dell’igiene orale del paziente, per tutta la durata del trattamento.

Una profilassi domiciliare deve essere affiancata ad una periodica profilassi professionale, al fine di mantenere un buon livello di igiene orale.

In presenza di problematiche parodontali, zone di accumulo di placca ed eventuali traumi occlusali, anche correlati agli spostamenti dentali o a contatti prematuri, potrebbero essere responsabili del peggioramento della patologia parodontale.

In presenza di tessuti parodontali ridotti, ma sani, il trattamento ortodontico può essere intrapreso senza che determini un peggioramento delle condizioni parodontali iniziali. E’ necessario un adeguato approccio biomeccanico, l’utilizzo di forze leggere, il mantenimento di un’adeguata igiene orale, il controllo della flogosi e l’eliminazione di eventuali interferenze occlusali.

Non è indicato il trattamento ortodontico in presenza di una parodontopatia in fase attiva e di trauma occlusale, pur in presenza di una buona igiene orale; si evita in tal modo il peggioramento del processo distruttivo a carico del parodonto.

Il paziente deve essere dovutamente informato degli eventuali rischi correlati al trattamento ortodontico e dell’importanza di un’adeguata collaborazione.

Ortodonzia ed implantologia:

Gli impianti endossei possono essere utilizzati come ancoraggio per movimenti ortodontici, come supporto protesico in caso di assenza di elementi dentali per precedenti estrazioni, agenesie dentarie, avulsioni post-traumatiche e come supporto protesico in caso di trattamenti ortodontici pre-protesici, in particolare in pazienti con problemi parodontali.

Le dimensioni dell’impianto e le finalità ne condizionano la scelta; dovrebbero sempre essere congrui con la quantità di osso disponibile e con il piano di trattamento stabilito.

L’ancoraggio ortodontico è definito come la resistenza offerta ai movimenti dentali indesiderati. Qualsiasi procedura ortodontica, che preveda l’applicazione di un impianto come ancoraggio, non comporterà alcun movimento indesiderato (forza di reazione o perdita di ancoraggio). La forza applicata si esplicherà completamente sul dente o su gruppi di denti da spostare: si realizza una situazione ideale definita “ancoraggio assoluto”.

L’ancoraggio ortodontico può essere realizzato tramite mini-viti intraossee, dispositivi di “ancoraggio temporaneo”, che possono essere inserite nel tessuto osseo. A queste vengono applicate trazioni per ottenere spostamenti dentali con il vantaggio biomeccanico del “massimo ancoraggio”. Risultano differenti per finalità e protocollo d’inserzione rispetto agli impianti convenzionali.

Possono essere inserite in zona inter-radicolare o apicale, non comportano osteointegrazione e, pertanto, dopo aver sortito il movimento ortodontico desiderato, possono essere facilmente rimosse.

Gli impianti convenzionali, invece, vanno incontro ad osteointegrazione e sono indicati come ancoraggio rigido ortodontico-ortopedico, soprattutto nei casi di edentulia parziale associata a malocclusione. In ambito ortodontico è possibile utilizzarli, sia come ancoraggio, che come supporto per la successiva riabilitazione protesica. Il loro inserimento in spazi ridotti è difficoltoso.

L’utilizzo d’impianti a scopo ortodontico consente:

- il movimento d’intrusione ed estrusione dentale con una riduzione delle complicanze e facilitazione del movimento dentale (più idonee le mini-viti);

- la chiusura degli spazi edentuli e, pertanto, si ha esclusione della necessità di riabilitazione protesica, riduzione del rischio di lesioni endodontiche, miglioramento dell’igiene orale;

- il riposizionamento di elementi dentari malposti e, quindi, aumento dell’ancoraggio per uprighting, con eventuale successivo utilizzo nelle zone edentule a scopo protesico;

- il rinforzo dell’ancoraggio con la creazione del massimo ancoraggio (es. nell’arretramento del gruppo frontale dopo estrazione o edentulia pregressa dei premolari);

- il movimento ortopedico, sì ad es. possono accelerare la distrazione della sutura palatina mediana.

Esistono, comunque, delle controindicazioni all’utilizzo di impianti a scopo ortodontico quali:

- le limitazioni anatomiche (spazi ridotti);

- la quantità e qualità dell’osso non idonei;

- l’allungamento eccessivo dei tempi di trattamento, tenuto conto che la trazione ortodontica viene intrapresa 3-4 mesi dopo l’inserimento degli impianti;

- l’aumento dei costi.

Il trattamento pre-protesico/implanto-protesico rappresenta una possibile soluzione in assenza di elementi dentali per pregresse estrazioni, agenesie dentarie (singole o multiple), avulsioni post- traumatiche.

La terapia ortodontica pre-protesica deve prevedere la risoluzione dell’eventuale malocclusione ed apertura e/o mantenimento degli spazi necessari per la successiva riabilitazione implanto-protesica, ponendo attenzione all’inclinazione delle radici degli elementi dentali ed un’attenta valutazione e gestione di over-jet ed over-bite.

La terapia implanto-protesica ha un ruolo di primo piano nella sostituzione di denti singoli.

Le protesi mobili tradizionali possono essere riservate alla risoluzione dei casi di agenesie multiple, in particolare in soggetti affetti da sindromi complesse in età evolutiva, procrastinando all’età adulta soluzioni definitive.

La terapia implantare deve, comunque, essere accuratamente valutata e programmata, tenendo conto di diversi fattori quali:

- il rischio-beneficio (in particolare della procedura chirurgica);

- l’età del paziente;

- lo stato di sviluppo del complesso dento-maxillo-facciale;

- lo spazio disponibile (si deve tener conto, ad esempio, che occorrono circa 7-8 millimetri per la sostituzione di un secondo premolare e che risulta preferibile valutare le dimensioni del controlaterale in caso di agenesia dell’incisivo laterale superiore; inoltre, in presenza di un laterale conoide, deve essere considerato uno spazio paria circa i due terzi della larghezza dell’incisivo centrale);

- lo spazio inter-radicolare (in genere occorre almeno un millimetro di spazio per lato oltre al diametro dell’impianto);

- le caratteristiche del sito implantare (dal momento che possono verificarsi riassorbimenti atrofici del processo alveolare nelle zone agenesiche, si potrebbe configurare la necessità di innesti e/o di procedure di rigenerazione tissutale).

Nei quadri di avulsione traumatica di uno o più elementi dentari e dislocazione parziale di elementi contigui si può rendere necessario sia un eventuale intervento ortodontico di riposizionamento e fissazione degli stessi che la sostituzione protesica degli elementi avulsi, con procedure implanto-protesiche, se il soggetto è adulto.

Nel paziente in crescita si possono adottare soluzioni protesiche temporanee di tipo tradizionale, procrastinando la terapia protesica o implanto-protesica a termine crescita.

In presenza di contestuale patologia parodontale e di edentulia parziale può essere necessario, dopo iniziale terapia parodontale, un trattamento ortodontico finalizzato al riallineamento in arcata di elementi dentali migrati e la creazione di adeguati spazi per la sostituzione degli elementi mancanti con procedure protesiche o implanto-protesiche.

Raccomandazioni:

- La programmazione terapeutica deve prevedere indicazioni, modalità e timing dell’intervento ortodontico ed implanto-protesico, ponendo attenzione in particolare alle finalità dell’intervento implantologico nel complessivo assetto occlusale, che deve essere procrastinato, comunque, a termine di crescita.

- L’uso di mini-viti, utilizzate come dispositivi d’ancoraggio extra-dentale, può rappresentare una soluzione utile che necessita, preliminarmente, di un approfondito iter diagnostico, una circostanziata programmazione terapeutica e del consenso del paziente.